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WFE, Work From Abroad

WFE, Work From Abroad

 

L’Italia è uno dei paesi occidentali dove il fenomeno del Work From Home ha meno attecchito dopo l’esperienza COVID. L’Inghilterra, invece, pare non solo averlo abbracciato alla grande, ma anche aver continuato ad allargare le ‘frontiere’ della pratica. C’è addirittura chi sta sperimentando il lavoro ‘da casa’ da una nave da crociera… Non tutti però si possono permettere il lusso di ‘faticare’ sdraiati in coperta mentre guardano i tropici che scivolano via all’orizzonte…

 

Più abbordabile, specialmente per gli inglesi, è prendere laptop e bagagli e partire verso i paesi più ameni del vicino Continente (dove, tra l’altro, il vino costa molto meno), una pratica in crescita che permette non solo di sfuggire al tremendo clima britannico, ma che facilita anche il rientro in patria per fare ‘un salto’ in ufficio se proprio si rende necessario. Ciò è possibile anche per via del funzionamento del mercato del lavoro inglese, dove spesso sono le aziende a cercare i dipendenti e non i dipendenti che devono cercare il posto…

 

Il Daily Telegraph racconta l’esperienza del Work From Abroad di tale ‘Sam’, che, come ormai molti nel Regno Unito, ha un contratto di lavoro che non richiede la presenza in ufficio. L’azienda, firmando quella clausola, pensava forse di permettergli di lavorare comodamente dalla cucina di casa sua o da qualche coffee shop. Sam invece ha interpretato il concetto in maniera ‘allargata’. È recentemente rientrato in patria dopo un mese trascorso in Spagna senza neppure informare il capo della partenza. E perché doveva? “Che differenza c’è se lavoro dal computer in casa oppure dall’estero? Poi, ho pensato che, se gli chiedessi direttamente il permesso, potrebbe anche dirmi di ’no’…’”

 

Quando il suo direttore è venuto casualmente a saperlo non ha fatto una piega, commentando solo “Basta che fai il tuo lavoro…” Ebbene, si trattava del terzo dei suoi soggiorni ‘informali’ all’estero, dopo uno nel 2021 e un altro nel 2022. Certo, i compiti vanno eseguiti lo stesso, ma il giovane calcola che – scegliendo periodi di ‘calma’ sul lavoro – riesce a essere più che efficiente lavorando appena tre ore al giorno.

 

Sam, ovviamente, ha un capo comprensivo a cui interessa più il risultato che la ‘forma’. Non tutti hanno la stessa fortuna. Oltre a ciò, pare stia ‘cambiando il vento’. Mentre, secondo un sondaggio recente, fino a sei milioni di britannici stanno meditando di lavorare in remoto dall’estero, i paesi che li dovrebbero ospitare iniziano a nicchiare, pensando di imporre delle tasse sul reddito che i lavoratori espatriati generano sul proprio territorio, soldi ovviamente già tassati in patria. Secondo quanto riferito al Telegraph dall’avvocatessa Juliet Carp: “Gli individui suppongono che, solo perché una cosa è facile da fare, allora debba essere legale. Non è affatto detto. Anche le società che li impiegano potrebbero finire tassate o obbligate a stabilire una sede legale in queste giurisdizioni”.

 

Image Credit: Zazzle

 

James Hansen per Mercoledì di Rochester